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lunedì 4 febbraio 2013

Ore Giapponesi

  • Titolo: Ore Giapponesi
  • Autore: Fosco Maraini
  • Casa Editrice: Corbaccio
  • Pagine: 524
  • Letto su: Cartaceo














Uno sente alle Invasioni Barbariche il racconto dell'esperienza giapponese di Fosco Maraini fatto dalla figlia Dacia e pensa che Fosco Maraini in Giappone ci tornerebbe solo armato di Kalashnikov e Napalm; e invece Fosco Maraini in Giappone ci è tornato nel 1952 e il resoconto (anche fotografico) di quel viaggio costituisce Ore Giapponesi.

Maraini viveva in Giappone, per la precisione a Kyoto, dove insegnava italiano, quando i giapponesi attaccarono Pearl Harbor nel 1941. Ed era sempre lì l'8 settembre 1943, quando l'Italia si ritirò dall'Asse. In seguito all'armistizio Fosco e la sua famiglia (moglie e due figlie, Dacia e Yuki) furono imrpigionati in un campo dalla polizia giapponese insieme ad altri prigionieri politici italiani, dove soffrirono fame e umiliazioni, raccontate con dovizia di particolari in uno degli ultimi capitoli del libro; scelta che si rivela estremamente saggia, in modo che il resoconto di Maraini del Giappone non possa venire offuscato da pregiudizi relativi alla lettura della cronaca di prigionia.

Fosco Maraini, ore giapponesi, Ainu
Fosco Maraini
Nel resto del corposo libro Maraini ci regala un affresco piuttosto completo del Giappone. C'è davvero di tutto: dalla storia millenaria (comprese le origini mitologiche), alla letteratura (su tutti il Genji Monogatari), la figura dell'Imperatore, la religione (un eterogeneo connubio tra Buddismo e quella strana religione pseudopagana che va sotto il nome di Shintoismo), il cibo, l'architettura (compreso uno studio comparato sulla struttura della pagoda nell'area asiatica), il rapporto dei giapponesi con la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e la bomba atomica, lo stato della società e delle città nel Dopoguerra. Non lesina di parlare di argomenti piuttosto scomodi, come il problema degli "intoccabili" nella società giapponese e la crescente passione per i giapponesi per il Pachinko, che Maraini aborrisce totalmente

Negli anni '50 il Giappone somiglia molto all'Italia nello stesso periodo: due nazioni uscite sconfitte dalla guerra ma in grande fermento, in cui si intuisce l'inizio del boom economico che porterà entrambi i Paesi ad essere tra i più industrializzati al mondo. In questa edizione inoltre Maraini ha aggiunto alla fine di ogni capitolo delle note in cui sottolinea le differenze tra il Giappone degli anni '50 e quello degli anni '80, ormai grande potenza mondiale, ma prima dell'esplosione della "grande bolla" degli anni '90 che ha portato il Giappone in una situazione di stallo che perdura ancora oggi, con la montante concorrenza della Cina a livello politico ed economico.

In tutto il libro si intuisce l'intenso amore che Maraini prova nei confronti del Giappone e la sua solida preparazione a livello antropologico (Maraini era uno dei più grandi esperti al mondo del popolo Ainu che abita l'isola più settentrionale del Giappone, l'Hokkaido), con uno stile sorprendentemente fresco e chiaro. Ogni tanto si abbandona a qualche lirismo di troppo (ma autori della stessa generazione sono molto peggio da questo punto di vista) ma nel complesso il libro è invecchiato molto bene e risulta godevolissimo ancora oggi.

Leggendo Ore Giapponesi ci si chiede come sia possibile che permangano ancora tanti stereotipi nell'immaginario comune sulla terra del Sol Levante, quando Maraini già nel 1952 ci forniva in un unico libro un mirabile compendio del Giappone, senza far leva sull'esotismo o utilizzando i filtri della Cultura occidentale per descrivere un'altra cultura, completamente diversa e particolarmente complessa e difficile da penetrare e per questo, almeno per me, affascinante.

Quattro stelle su cinque, lo consiglio a tutti, sia a chi è a digiuno di cultura nipponica, sia a chi ne è appassionato e vuole andare più in là del Giappone descritto nei manga o negli anime.

giovedì 8 novembre 2012

Stanley Kubrick

  • Titolo: Stanley Kubrick
  • Autore: H.P. Reichmann (curatore)
  • Traduttore: NTL Traduzioni, Firenze
  • Casa Editrice: Giunti GAMM
  • Pagine 384
  • Letto su: Cartaceo



E' grazie a Stanley Kubrick (e indirettamente a mio padre), se quando vado al cinema al 95% so chi ha diretto il film che mi appresto a vedere e quali sono stati i suoi altri lavori. E' grazie a lui se vado a vedere un film a scatola chiusa perchè è di uno dei miei registi preferiti.

Prima di Kubrick, vedevo i film come qualcosa di calato dall'alto, non sapevo ci fosse dietro il lungo lavoro di un gruppo (numeroso) di persone.

Solo dopo aver visto un film di Kubrick mi è venuta voglia di sapere quali ruoli e mestieri ci fossero dietro la realizzazione di un film. E Stanley Kubrick sapeva fare molti mestieri: regista, montatore, fotografo, sceneggiatore, curava ogni aspetto della lavorazione dei suoi film, in maniera quasi maniacale, spesso portando innovazioni a livello tecnico: gli effetti speciali di 2001 (per la quale Kubrick ha vinto il suo unico Oscar), gli obiettivi Zeiss usati dalla NASA per filmare le scene di Barry Lyndon con luce proveniente unicamente dalle candele, la Steadycam di Shining. Sono famosi gli aneddoti sull'ossessione ai dettagli di Kubrick, che portava tutti al limite estremo, soprattutto gli attori, dato che ripeteva le scene una moltitudine di volte.

Nella sua quasi cinquantenniale carriera Kubrick ha girato relativamente pochi film (13), ma una cosa che mi è sempre piaciuta di lui è che ha spaziato in quasi tutti i generi cinematografici: storico (Spartacus e Barry Lyndon) fantascienza (2001: odissea nello spazio e per certi versi Arancia Meccanica) satira (Dr. Stranamore) horror (Shining) dramma psicologico (Eyes Wide Shut) e una certa predilezione per i film di guerra (Paura e desiderio, Orizzonti di gloria, Full Metal Jacket).

Questo volumone della Giunti (il formato è più grande del solito, una specie di quadratone, stampato su carta patinata pesantissima) è il catalogo di una Mostra su Kubrick ospitata a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni dal 6 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008 organizzata in origine dal Deutsche Filmmuseum. La mostra conteneva una selezione del vasto archivio di materiale che Kubrick ha lasciato dopo la sua morte, avvenuta per attacco cardiaco nel 1999 (ricordo ancora quando l'ho saputo: stavo tornando con i miei genitori in macchina da Brescia dove eravamo andati a trovare dei parenti, quando lo hanno annunciato alla radio).

Purtroppo non ho mai visto questa mostra, il volume l'ho acquistato in occasione di un'altra mostra, questa volta a Milano, dal 16 aprile al 4 luglio 2010, dedicata all'opera fotografica di Kubrick. Negli anni '40 infatti, un giovanissimo Stanley Kubrick iniziò la propria carriera come fotografo professionista per la rivista "Look".

Il catalogo è in realtà una raccolta di 24 saggi ad opera di studiosi tedeschi, dedicati all'analisi dell'opera di Kubrick. Corredano i saggi un ricco impianto iconografico e appendici dedicate alla sua biografia, filmografia completa e discografia delle colonne sonore dei suoi film. Una cosa positiva è che gli autori dei vari saggi appartengono ad aree di studio molto diverse (si va dai critici cinematografici ad esperti di storia dell'arte, musica, costumi, architettura): l'approccio multi-disciplinare dei saggi fa emergere Stanley Kubrick come artista a tutto tondo, nei cui film nulla era lasciato al caso. Nella maggior parte dei saggi ho anche apprezzato che si focalizzassero su pochi film invece di analizzare velocemente tutta la filmografia del regista americano alla ricerca di connessioni stiracchiate; spesso Kubrick amava cambiare completamente il suo stile, creare qualcosa di completamente diverso, tant'è che molti suoi film furono accompagnati da polemiche alla loro uscita, fino a veri e propri casi di censura (Orizzonti di gloria, Arancia Meccanica).

Il lato negativo di saggi così diversi tra loro è che per forza di cose, per affinità personale ai temi trattati, alcuni li ho trovati molto interessanti, come quello sull'interesse di Kubrick per la fantascienza e la volontà di creare 2001: odissea nello spazio per dimostrare che i film di fantascienza potessero essere presi sul serio, altri (soprattutto quelli sull'aspetto architettonico dei film di Kubrick) li ho trovati un po' noiosi (sempre per i miei gusti). Ho anche apprezzato che, contrariamente a quello che avviene di solito, più di un saggio non ha il solito tono incensante nei confronti del grande regista da poco scomparso (la mostra originale tedesca risale al 2002), ma anzi si evidenziano alcuni difetti e punti deboli dell'opera di Kubrick, come la scelta di musiche tipiche dell'Ottocento usate in Barry Lyndon (che è ambientato nel Settecento), o il ritardo dell'uscita di Full Metal Jacket, uscito nell'89 dopo una lunga lavorazione e preceduto da un'onda di film riusciti dedicati al Vietnam (Il Cacciatore, Platoon).

La più grossa critica che mi sento di fare al volume è che alcuni autori, soprattutto gli accademici, indulgono spesso e volentieri nell'uso di un linguaggio ampolloso e volutamente ermetico (non a caso è stato coniato un termine apposito, l'"accademichese"). Un esempio da manuale è il saggio "Il visionario dell'evoluzione" di Thomas Elsaesser, che inizia meravigliosamente analizzando la carriera di Kubrick dal punto di vista della storia dell'industria cinematografica di Hollywood, mostrando come l'invidiabile contratto di Kubrick con la Warner Bros. (totale autonomia artistica) fosse in realtà figlio della crisi degli Studios negli anni '60 e poi si spegne in una serie di citazioni accademiche e ragionamenti volutamente oscuri.

Forse il limite principale di questo libro è che è a meta strada tra un'introduzione alla vita e alle opere di Kubrick e un approfondimento dei temi della sua cinematografia. Se volete sapere qualcosa di più su Kubrick io consiglio il documentario del 2001 "A life in pictures" (che ho scoperto in questo libro essere del cognato di Kubrick, Jan Harlan), mentre se comprate questo volume per approfondire forse vi ritrovereste un po' delusi.

Il mio (sindacabilissimo) giudizio è due stelle su cinque.   

lunedì 15 ottobre 2012

Mugging The Muse

Mugging the muse, holly lisle
  • Titolo: Mugging the Muse, writing fiction for love AND money
  • Autore: Holly Lisle
  • Pagine: 238 pagine
  • Lingua: Inglese
  • Editore: Self-published
  • Letto su: Kindle







Oggi parliamo di un manuale di scrittura, che è passato sotto il mio radar grazie al post di Davide Mana su Strategie Evolutive (di cui consiglio caldamente la lettura).

Innanzitutto una premessa: forse potreste chiedervi: manuale di scrittura? Ma la scrittura non ha regole, non si può insegnare. Bè, quasi: la narrativa, in particolare quella di genere, ha certe regole che vanno rispettate non tanto perchè ce lo dicono delle leggi calate dall'alto, ma perchè se no la prosa e la comprensione del racconto risultano ostiche al lettore. Poi nulla vieta che l'autore esperto possa cercare di spezzare le regole per ottenere un effetto particolare o per sperimentare, però per farlo deve prima averle bene in mente. Avete presente il motto "Impara l'arte e poi mettila da parte"? Bè...è così.

Questo manuale (che si può acquistare al costo irrisorio di 82 centesimi su Amazon, in lingua inglese), spiega in maniera asciutta e franca, quasi brutale, cosa vuol dire scrivere per guadagnarsi da vivere. Più che concentrarsi sulla prosa in sè, però, il libro si concentra sulle motivazioni dell'aspirante scrittore: la Lisle, prendendo come spunto la propria esperienza personale, ci racconta che per riuscire a veder pubblicato il proprio manoscritto bisogna spazzare via dalla testa l'idea romantica dello scrittore che scrive sotto ispirazione semi-divina un capolavoro che verrà instantaneamente dato alle stampe con conseguente successo commericale e gloria imperitura.

L'aspirante scrittore deve applicarsi in maniera metodica e scrivere, scrivere, scrivere: secondo la Lisle la scrittura è soprattutto esercizio continuo e organizzazione. Soprattutto se lo si vuol fare per vivere. A conferma di ciò alla fine di ogni capitolo l'autrice propone un esercizio, che consiste nello scrivere un breve testo (150-250 parole), sull'argomento appena trattato.

Oltre ai consigli "motivazionali" e pratici (come si costruisce un personaggio interessante, come si scrive una scena, come si controlla il ritmo del racconto), la Lisle dà anche consigli professionali: come contattare un agente o una casa editrice, come affrontare le proposte di collaborazione. Secondo l'autrice inoltre sempre più necessaria sarà l'opzione del self-publishing, ovvero pubblicare da soli la propria opera a mezzo e-book. 

Dopo aver letto il manuale la voglia di scrivere a propria volta è tanta, nonostante gli avvertimenti della Lisle: diventare scrittori di professione è un percorso irto di difficoltà e frustrazione. Però a mio parere un aspirante scrittore italiano che legge il manuale (la Lisle è americana) deve tenere bene a mente una cosa: la Lisle nel suo manuale si riferisce al mercato dell'editoria anglo-sassone, che sia dal punto di vista linguistico che demografico, è infinitamente più grande di quello italiano.

Nel mondo-anglosassone oltre ai best-selleristi (che guadagnano cifre a sette, otto zeri) esistono anche scrittori, cosiddetti "mid-list", che vendono un numero di copie tali da potersi permettere di vivere solo di scrittura, ma senza guadagnare cifre da capogiro. La Lisle appartiene a quest'ultima categoria, che nel mercato italiano è però praticamente assente: a parte qualche sparuto nome noto (Fabio Volo, Camilleri, Umberto Eco e compagnia cantante), il resto degli autori vende un volume di copie tale da non potersi permettere di scrivere a tempo pieno. Quindi i consigli della Lisle sono preziosi per quanto riguarda l'obiettivo di vedere la propria opera pubblicata, ma forse valgono un po' meno per quanto riguarda l'obiettivo di vivere solo di scrittura. Ma non è colpa della Lisle e non è colpa dell'aspirante scrittore italiano: è colpa del mercato ristretto.

Tre stelle su cinque, consigliato soprattutto a chi ha sempre sognato di scrivere un romanzo. L'enfasi su sognato non è casuale: non basta sognare di scrivere un romanzo, bisogna farlo.
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