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lunedì 22 ottobre 2012

Conoscerete la nostra velocità

  • Titolo: Conoscerete la nostra velocità
  • Autore: Dave Eggers
  • Traduttore: G. Strazzeri
  • Casa Editrice: Mondadori
  • Pagine: 389
  • Letto su: Cartaceo 










Approfittando dei remainders di Amazon (a proposito: sono ancora disponibili due copie) mi sono comprato la prima versione italiana rilegata del secondo romanzo di Dave Eggers (che è disponibile anche in economica nella collana Piccola Biblioteca Mondadori).

Se guardate con attenzione la copertina scoprirete perchè: il romanzo inizia già dalla copertina (e che inizio!), e prosegue internamente senza soluzione di continuità (il colophon è presente in terza di copertina); una chicca che non mi potevo perdere.

Dave Eggers è attualmente considerato uno dei giovani scrittori americani più promettenti. Eggers è un personaggio poliedrico: oltre che apprezzato scrittore è anche editore. Ha fondato la casa editrice McSweeney's, che oltre a libri pubblica anche due riviste letterarie, la Timothy McSweeney's Quarterly Concern e il The Believer. Non pago, ha anche fondato una scuola di scrittura per ragazzi, la 826 Valencia, scritto la sceneggiatura di Nel Paese delle Creature Selvagge e libri umoristici sotto pseudonimo.

Insomma, è un tipo che sa il fatto suo, c'era da capirlo già dal titolo del suo primo romanzo (che è anche un po' non-fiction, e che non ho ancora letto): L'opera struggente di un formidabile genio!! (in originale A heartbreaking work of a staggering genius). Uno così o è un pirla, o conosce perfettamente i suoi mezzi.

 Una cosa è sicura: a Eggers piace la forma-libro, e non ha paura di sperimentare. Lo dimostra questo romanzo, che oltre all'originale inizio presenta, inframmezzate alla narrazione, immagini, foto e disegni. L'amore per la sperimentazione si ha ancora di più nella citata rivista Timothy McSweeney's Quarterly Concern: ogni numero è diverso, sia come formato che come tipologia di oggetto. Il massimo credo si sia raggiunto con il numero 36: un cubo con le fattezze di un signore pelato (il Timothy McSweeney del titolo) contenente diversi libri, cartoline, illustrazioni. (vedi immagine)



McSweeney, Dave Eggers, Issue 36
La miglior rivista letteraria di tutti i tempi

Ma torniamo al romanzo: la storia ruota intorno al viaggio di due giovani sempliciotti del Midwest, Will e Hand, che decidono di fare in una settimana il giro del mondo. Già dalla pianificazione del viaggio emergono i primi nodi al pettine: non siamo ai tempi di Phineas Fogg, l'idea romantica di girare intorno al mondo fa a pugni con le politiche delle compagnie aeree, in particolare per quanto riguarda i collegamenti con paesi africani e del Baltico. Durante il loro viaggio, infatti, riusciranno a visitare solo il Senegal, l'Egitto, l'Estonia e la Lettonia.

Motivo del viaggio, la necessità di Will e Hand di elaborare il lutto per la morte del loro amico Jack, ucciso in un assurdo incidente automobilistico. Per ragioni mai completamente rivelate nel corso del romanzo Will si trova ad avere una grossa quantità di denaro e decide di fare il viaggio per donarlo agli abitanti dei paesi che andranno a visitare.

Stop. Tutta la trama del romanzo è contenuta nel paragrafo precedente. Dave Eggers però affronta il tema del viaggio e dell'elaborazione del lutto in modo non scontato: Will e Hand da tipici americani medi hanno un'idea molto approssimata di come approcciarsi ad una cultura differente e scoprono ben presto che il loro peraltro onorevole proposito di donare dei soldi agli autoctoni non è così facile come sembra. Chi scegliere tra le moltitudini di persone, mendicanti e non, che affollano le città del Senegal? E come fare materialmente ?

Nel corso del viaggio Will (l'io narrante per tutto il romanzo) avrà modo di riflettere sulla morte di Jack e sul suo rapporto con l'amico Hand, imparando nel frattempo a interagire con culture profondamente diverse da quella americana.

La scrittura di Eggers è chiara e ironica, ma personalmente ho trovato la trama un  po' priva di mordente. Spesso il viaggio di Will e Hand, seppur spassoso, ha dei cali di tensione in cui sostanzialmente non succede nulla di rilevante. E non bastano le struggenti riflessioni di Will e i flashback che ci dicono cosa è successo a Jack.

Nei romanzi sostanzialmente si possono individuare due poli: quello della forma e quello del contenuto. Eggers è decisamente vicino al primo polo: la sua prosa è molto curata, brillante, come se l'autore volesse dirci "visto quanto sono bravo?". Si ha l'impressione che in certi casi Eggers voglia dimostrare come sia in grado di reggere una parte con la sola forma, senza che avvenga nulla di particolarmente interessante.

In conclusione il tentativo di Eggers è buono, ma pecca un po' di presunzione (ma non tanto come questa recensione).

Due stelle su cinque

lunedì 15 ottobre 2012

Mugging The Muse

Mugging the muse, holly lisle
  • Titolo: Mugging the Muse, writing fiction for love AND money
  • Autore: Holly Lisle
  • Pagine: 238 pagine
  • Lingua: Inglese
  • Editore: Self-published
  • Letto su: Kindle







Oggi parliamo di un manuale di scrittura, che è passato sotto il mio radar grazie al post di Davide Mana su Strategie Evolutive (di cui consiglio caldamente la lettura).

Innanzitutto una premessa: forse potreste chiedervi: manuale di scrittura? Ma la scrittura non ha regole, non si può insegnare. Bè, quasi: la narrativa, in particolare quella di genere, ha certe regole che vanno rispettate non tanto perchè ce lo dicono delle leggi calate dall'alto, ma perchè se no la prosa e la comprensione del racconto risultano ostiche al lettore. Poi nulla vieta che l'autore esperto possa cercare di spezzare le regole per ottenere un effetto particolare o per sperimentare, però per farlo deve prima averle bene in mente. Avete presente il motto "Impara l'arte e poi mettila da parte"? Bè...è così.

Questo manuale (che si può acquistare al costo irrisorio di 82 centesimi su Amazon, in lingua inglese), spiega in maniera asciutta e franca, quasi brutale, cosa vuol dire scrivere per guadagnarsi da vivere. Più che concentrarsi sulla prosa in sè, però, il libro si concentra sulle motivazioni dell'aspirante scrittore: la Lisle, prendendo come spunto la propria esperienza personale, ci racconta che per riuscire a veder pubblicato il proprio manoscritto bisogna spazzare via dalla testa l'idea romantica dello scrittore che scrive sotto ispirazione semi-divina un capolavoro che verrà instantaneamente dato alle stampe con conseguente successo commericale e gloria imperitura.

L'aspirante scrittore deve applicarsi in maniera metodica e scrivere, scrivere, scrivere: secondo la Lisle la scrittura è soprattutto esercizio continuo e organizzazione. Soprattutto se lo si vuol fare per vivere. A conferma di ciò alla fine di ogni capitolo l'autrice propone un esercizio, che consiste nello scrivere un breve testo (150-250 parole), sull'argomento appena trattato.

Oltre ai consigli "motivazionali" e pratici (come si costruisce un personaggio interessante, come si scrive una scena, come si controlla il ritmo del racconto), la Lisle dà anche consigli professionali: come contattare un agente o una casa editrice, come affrontare le proposte di collaborazione. Secondo l'autrice inoltre sempre più necessaria sarà l'opzione del self-publishing, ovvero pubblicare da soli la propria opera a mezzo e-book. 

Dopo aver letto il manuale la voglia di scrivere a propria volta è tanta, nonostante gli avvertimenti della Lisle: diventare scrittori di professione è un percorso irto di difficoltà e frustrazione. Però a mio parere un aspirante scrittore italiano che legge il manuale (la Lisle è americana) deve tenere bene a mente una cosa: la Lisle nel suo manuale si riferisce al mercato dell'editoria anglo-sassone, che sia dal punto di vista linguistico che demografico, è infinitamente più grande di quello italiano.

Nel mondo-anglosassone oltre ai best-selleristi (che guadagnano cifre a sette, otto zeri) esistono anche scrittori, cosiddetti "mid-list", che vendono un numero di copie tali da potersi permettere di vivere solo di scrittura, ma senza guadagnare cifre da capogiro. La Lisle appartiene a quest'ultima categoria, che nel mercato italiano è però praticamente assente: a parte qualche sparuto nome noto (Fabio Volo, Camilleri, Umberto Eco e compagnia cantante), il resto degli autori vende un volume di copie tale da non potersi permettere di scrivere a tempo pieno. Quindi i consigli della Lisle sono preziosi per quanto riguarda l'obiettivo di vedere la propria opera pubblicata, ma forse valgono un po' meno per quanto riguarda l'obiettivo di vivere solo di scrittura. Ma non è colpa della Lisle e non è colpa dell'aspirante scrittore italiano: è colpa del mercato ristretto.

Tre stelle su cinque, consigliato soprattutto a chi ha sempre sognato di scrivere un romanzo. L'enfasi su sognato non è casuale: non basta sognare di scrivere un romanzo, bisogna farlo.

martedì 9 ottobre 2012

Studio Illegale

  • Titolo: Studio Illegale
  • Autore: Duchesne
  • Editore: Marsilio
  • Pagine: 318
  •  Letto su: Kindle



Mi sono imbattuto in questo libre grazie alle ghiottissime offerte giornaliere di Amazon. Per 0,99 euro valeva assolutamente la pena di dare un'opportunità a Duchesne, pseudonimo di Federico Baccomo: devo dire che non sono rimasto deluso. Ho scoperto solo dopo, leggendo le prime pagine, che il libro deriva dall'esperienza di un blog (ora defunto in seguito alla pubblicazione del libro).

E mi si è acceso un campanello d'allarme: avevo già avuto un'esperienza con un libro omonimo di un blog, l'Apprendista Librario. In quel caso il libro mi aveva completamente deluso: ripetitivo e piatto emotivamente e narrativamente parlando (forse un giorno di questi ne scriverò in maniera più approfondita). Partivo con la lettura con più di qualche pregiudizio.

Fin dal primo capitolo però si capisce che Duchesne ha stoffa: la descrizione di una festa popolata da avvocati milanesi e padovani è ironica, assurda al punto giusto e con un tocco di freddezza alla Bret Easton Ellis.
Nei capitoli successivi invece il romanzo si concentra soprattutto sulla vita lavorativa in uno studio milanese di avvocati d'affari, dove lavora il nostro protagonista (il libro è narrato tutto in prima persona): Andrea Campi. 
Andrea è un giovane avvocato (il classico avvocato "di belle speranze"), coscienzioso nel suo lavoro anche se non particolarmente brillante. Non fa una vita facile: spesso deve stare nello studio fino a tarda notte e deve fronteggiare scadenze piuttosto pressanti. Tuttavia Andrea non è mai lagnoso: ha raggiunto una sorta di equilibrio zen nei confronti del suo impiego. Sa che il contratto non verrà mai chiuso in tempo, sa che i suoi suggerimenti non verranno presi in considerazione ma riesce a mantenersi distaccato, a non farsi travolgere dai sacrifici che questo lavoro impone.

Non deve essere stato un compito difficile: per colpa dello studio legale Andrea è solo, non esce quasi mai con gli amici (gli unici che può definire tali sono suoi colleghi allo studio) e la sua ultima relazione importante si è interrotta proprio per colpa del tempo che "esige" il lavoro allo studio. Non che non ci siano soddisfazioni, lavorativamente parlando: durante il romanzo Andrea chiude due contratti, di cui uno particolarmente importante per il suo futuro. Però progressivamente cresce dentro di lui la sensazione di essere solo un ingranaggio in un sistema più complesso, di non avere una vita al di fuori dello studio, e questo vuoto interiore lo porterà a prendere in mano le redini del proprio destino.
Studio Illegale è un libro che scorre molto bene, che funziona: i personaggi sono credibili, la narrazione è ironica e funzionale a descrivere il mondo degli affari, pieno di tecnicismi rigorosamente in inglese e dove la capacità di fare networking (vedete? hanno contagiato anche me, la "rete di conoscenze") spesso conta di più che l'effettiva competenza legale, come dimostra il personaggio di Giovanni, il capo di Andrea, le cui frasi dense di retorica da marketing spicciolo e l'idiozia sono così dolorosamente reali.
Mi sono immedesimato nel personaggio di Andrea: pur lavorando in ambiti all'apparenza molto diversi (studio legale vs. laboratorio di ricerca), ho riconosciuto molti punti in comune. Spesso anche nel mio mondo si ha a che fare con scadenze molto strette e orari lavorativi non convenzionali. Si ha la sensazione di essere in balìa di una forza più grande di te, dove i propri sforzi sembrano ininfluenti a raggiungere l'obbiettivo finale.

Forse  non dipende dai nostri posti di lavoro, forse è diventato così il mercato del lavoro moderno: Studio Illegale è anche la riflessione di una generazione alle prese con un mondo del lavoro bisognoso di cambiamento; è anche la riflessione dei rapporti tra una generazione (la mia) e la generazione precedente (quella dei nostri genitori/capi), generazioni che hanno una visione del mondo molto diversa, sia perchè il mondo è cambiato (e sta cambiando), sia perchè i loro rispettivi obiettivi non sono congruenti, forse addirittura incompatibili. Studio Illegale riesce a descrivere tutto ciò senza cadere nella facile retorica, senza abusare di luoghi comuni.

Quattro stelle su cinque 

sabato 6 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie tv americane! (Parte 2)

Dopo The Big Bang Theory (qui la presentazione) continuamo con... 


New Girl

Who's that girl?

 Quando è stato annunciato questa serie, tutti avrebbero scommesso che si trattasse di un "One Woman Show": gli occhioni blu e l'espressione cucciolosa di Zooey Deschanel in primis e il resto contorno. Invece New Girl ha saputo ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto tra le altre commedie americane, nonostante il calo di ascolti costante per tutta la prima stagione.
 

L'incipit della serie non è niente di particolarmente: una ragazza (Jess) si trasferisce a vivere in un loft con tre ragazzi (Schmidt, Nick e Winston) sconosciuti dopo aver scoperto che il suo ragazzo la tradiva. Ciò che fa la differenza rispetto a altre commedie sono i personaggi: in primis Nick, la cui tensione sessuale con Jess guida buona parte della prima stagione ma non viene mai esplicitata del tutto: gli sceneggiatori rifuggono dall'ovvia scelta di farlo mettere insieme a Jess. La comicità di Nick risiede in buona parte nelle sue scelte di vita assurde e nel suo essere totalmente dipendente dalla ex.

Nick new girl
Non fare così, Nick!


Jess è esattamente come se la immaginano dal vivo i fan di Zooey Deschanel: teneramente goffa, un po' nerd e incline a momenti di assoluta awkwardness.

In seconda battuta abbiamo Schmidt, il cui ruolo è quello dell'adorabile cretino: vagamente metrosessuale, fissato con i prodotti di marca e i rimedi esotici, corre dietro a qualunque cosa che respira (per dirla in termini terra-terra "Un morto di figa"). Ma il modo in cui lo fa e la genuinità con cui crede nelle sue tecniche di abbordaggio lo rendono spassosissimo.

awesome, parkour
PARKOUR!


Per ultimo abbiamo Winston, il cui personaggio resta forse un po' più in ombra rispetto agli altri tre, anche a livello di sceneggiatura: spesso protagonista di sidestory indipendenti dagli altri personaggi e quindi la sua caratterizzazione dipende molto dalla loro qualità, altalenante. L'impressione è che non abbia ancora trovato il suo ruolo nella serie, probabilmente dovuto al fatto che nell'episodio pilota (che spesso viene girato mesi o anni prima degli altri episodi) il quarto coinquilino del loft era un altro personaggio (interpretato da Damon Wayans Jr.) che è stato tolto a causa degli impegni dell'attore e sostituito da Winston.

I primi due episodi della seconda stagione non hanno tradito le attese, confermando che New Girl è una delle commedie più in forma del momento.

Come già fatto per The Big Bang Theory vi consiglio le recensioni di Serialmente

venerdì 5 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane (Parte I)


Ebbene sì, grazie ai potenti mezzi di internet e a gruppi di volenterosi traduttori (www.italiansubs.net, http://www.subsfactory.it/), è possibile seguire le serie TV d'oltreoceano quasi in contemporanea. La maggior parte del palinsesto USA dei network TV funziona grossomodo come quello della TV italiana: in estate calma piattissima e solo repliche, per poi ricominciare con le nuove stagioni delle serie TV a settembre/ottobre, per poi terminare a Maggio/Giugno.


Fanno eccezione alcune serie sui network via cavo (a pagamento), che spesso sono più corte della ventina e rotti di episodi delle serie TV trasmesse dai network in chiaro. Come Game of Thrones, maledetti sadici!

Quest'uomo è MALVAGIO


Ad ogni modo, le serie che sto attualmente seguendo e che sono ripartite o lo stanno per fare sono quattro. Incominciamo oggi con:

The Big Bang Theory


 
Sì, quest'immagine riassume un po' tutta la serie...
La serie nerd per eccellenza ha raggiunto la sua sesta stagione. Chi l'avrebbe mai detto che una serie che ha come protagonisti due PhD che lavorano al California Institute of Technology appassionati di comics, videogiochi e fantascienza potesse avere tanto successo?

La serie ormai ha raggiunto la maturità e complice anche il largo gradimento tra il pubblico "mainstream" la serie si è un po' allontanata dallo spirito molto "geek" dell'inizio per approdare su lidi più da commedia romantica. Lo dimostra il fatto che a tutti i protagonisti maschili (tranne Raj) è stata aggiunta una controparte femminile; non mi stupirei se anche in questa sesta stagione il nostro astrofisico indiano preferito non incontri la sua dolce metà.

Forse nella quinta stagione la serie ha iniziato a dare i primi segni di stanchezza: è ripresa la love story tra Penny e Leonard che si era già vista nelle prime stagioni e la parte comedy si è sempre più appoggiata alla verve di Jim Parsons (Sheldon, forte di ben due Emmy come miglior attore comedy) e della sua controparte femminile Amy; inevitabile che sia le battute che le storie inizino a soffrire un po' di ripetitività.

In questa nuova stagione mi aspetto qualche cambiamento che possa dare la scossa ad una serie che dopo il meritato successo sta un po' troppo dormendo sugli allori e che per accontentare una fetta di pubblico il più ampia possibile si è un po' snaturata.

Per saperne di più sia su The Big Bang Theory, che sul mondo delle serie TV americane, consiglio Serialmente: loro ne sanno molto più di me. 

giovedì 4 ottobre 2012

Running Dog

Running Dog
  • Titolo: Running Dog
  • Autore: Don DeLillo
  • Traduttrice: S. Pareschi
  • Editore: Einaudi
  • Pagine: 260 pagine 
  • Letto su: Kindle





Vedete, il mio problema con Don Delillo è che è considerato un autore postmoderno. Anzi, uno dei capostipite della corrente postmoderna letteraria. E a me il postmoderno piace. O meglio, la situazione è un po' più complessa, ma certe opere postmoderne mi sono piaciute da impazzire (Infinite Jest, L'Opera Galleggiante), altre (Comma 22 su tutti) mi hanno lasciato freddo se non apertamente seccato. Ma le premesse del genere mi convincono, e mi trovano in sintonia.

Di DeLillo ho provato anni fa a leggere Underworld, che è considerato uno dei suoi capolavori, ma dopo il prologo ho interrotto la lettura: non mi ha proprio preso. Fortuna vuole che l'autore di origine italiana ha scritto svariati romanzi e grazie all'offerta di Einaudi sugli ebook in concomitanza dell'uscita di Cosmopolis, il film di David Cronenberg tratto dal romanzo omonimo di DeLillo, ho pensato di dargli una seconda possibilità con Libra e questo Running Dog. La scelta si è rivelata azzeccata.

Running Dog ruota interamente attorno ad un film: non un film qualunque, ma una potenziale bomba socio-storico-mediatica: una pellicola amatoriale girata nel bunker sotto Berlino nel 1945, durante gli ultimi giorni di vita di Hitler. Ma non una pellicola qualsiasi: un film porno, un'orgia che annovererebbe tra i protagonisti nientepopodimeno che il fuhrer in persona.

La presenza di questa fantomatica pellicola attira gli interessi di diverse persone: a partire dall'intermediario Newyorchese in possesso dei contatti giusti con i proprietari della pellicola, che fa da punto di incontro tra gli interessati: un giovane magnate dell'industria porno che se ne sta rintanato fisicamente dietro un magazzino e legalmente dietro una serie di società di comodo (e che ricorda molto il protagonista di Cosmopolis), un funzionario governativo di secondo grado che sta trattando l'affare per conto di un senatore degli Stati Uniti, avido collezionista di arte pornografica; il capo di un'agenzia d'intelligence deviata del governo chiamata CCP/URE.

Quando sono andato a vedere io il film eravamo in quattro, ma non so quanto avrei dato per vedere la faccia delle fan di Twilight alla fine del film.


Caso vuole che una giornalista della rivista antagonista "Running Dog" stia facendo un pezzo sul senatore, che guarda caso è a capo della commissione di indagine sull'operato della CCP/URE. La prima parte del libro si focalizza sulla ricerca della pellicola (esiste veramente? contiene veramente quello che si vocifera?) e ai tentativi da parte della giornalista di saperne di più sui rapporti tra senatore e CCP/URE, che sono un coacervo di doppiogiochisti e agenti infiltrati. Nella seconda parte l'importanza della ricerca della pellicola passa in secondo piano: la volontà di possesso del film innesca una sequenza inevitabile di eventi per tutti i personaggi.

Ad una prima analisi il libro potrebbe essere considerato come un semplice thriller: clima da complotto paranoide, reduci di guerra assetati di potere, mafia, politici corrotti. In realtà lo stile di DeLillo e il suo modo di narrare rendono il romanzo più una grossa riflessione sull'ossessione del mondo occidentale in generale e Americano in particolare per il potere, per il fluire degli eventi. 

In una magistrale descrizione di oggetti per la manutenzione delle armi, da fuoco e da taglio, si ritrova la concezione di DeLillo per la scrittura: il personaggio nel romanzo sostiene che il nome degli strumenti è importante, la conoscenza dei nomi li fa funzionare meglio. Nello stesso modo la prosa di DeLillo è particolarmente curata, ogni parola finemente cesellata tra le altre. 

In conclusione un romanzo veramente solido, il cui intento allegorico è apparentemente mascherato dalla trama da thriller cospirazionista. L'unico neo è che alla fine del libro DeLillo sembra faticare nel tirare le somme dei diversi personaggi, alcuni dei quali vengono liquidati frettolosamente.

Tre stelle su cinque 

mercoledì 3 ottobre 2012

Dove stiamo volando


dove stiamo volando  

 E' brutto iniziare un blog con una stroncatura, ma questo è quello che ho letto recentemente.
Qualche mese fa sono andato con la mia ragazza a Genova, a vedere una mostra di Van Gogh. Ad un certo punto passiamo davanti all'edicola e, quasi meccanicamente, butto un occhio allo spazio dedicato agli Urania. Mi cade l'occhio sulla copertina che vedete qui sopra. 

"Vittorio Curtoni, questo nome non mi è nuovo". Ripesco da qualche angolo della memoria: curatore della rivista di fantascienza Robot. Mi avvicino, prendo il libro e guardo la quarta di copertina: è compaesano (eravamo entrambi di Piacenza. Uso il passato perchè lui non è più tra noi, e io non sono più a Piacenza). La combo campanilismo-fantascienza me lo fa acquistare al volo.

Durante il viaggio di ritorno in treno, mi metto a sfogliare il volume, che appartiene alla collana "Urania Collezione": contiene un romanzo di circa 120 pagine (gli inglesi lo chiamerebbero "novelette") che dà il nome al volume, sei racconti e un saggio dal titolo esplicativo "La mia love story con la fantascienza" in cui Curtoni racconta la propria carriera lavorativa nel campo dell'editoria italiana di fantascienza. Ai testi di Curtoni si aggiungono una esaustiva bibliografia e il ricordo del curatore di Urania, Giuseppe Lippi, che dello scrittore piacentino recentemente scomparso era stato collega di lavoro e amico.

Decido di iniziare dal saggio: bellissimo,  scorre che è un piacere e racconta di come un Curtoni liceale e con la passione per la fantascienza sia riuscito a farlo diventare un lavoro. Il contesto è quello dell'Italia degli anni '60-'70, delle prime avventure editoriali in campo fantascientifico (considerato anche allora "robaccia di serie B"), delle prime convention dedicate. Curtoni racconta tutto dal suo punto di vista e senza peli sulla lingua: i propri successi e fallimenti, i litigi e gli errori e infine la sua uscita dalla scena pubblica, negli anni '90. Ne emerge un ritratto sincero, ma soprattutto una passione sconfinata per la fantascienza.

Con entusiasmo mi accingo quindi a leggere il romanzo e i racconti. E passano dei mesi. Ho infatti ripreso in mano "Dove stiamo volando" solo qualche settimana fa. Quando di un libro ho aspettative molto alte tendo infatti a rimandarne la lettura in attesa di un fantomatico "momento perfetto" (ne parlerò più approfonditamente in un post dedicato): naturalmente questo momento non arriva mai e finisco per arretrare il libro nella pila dei volumi da leggere.

Per "Dove stiamo volando" decido finalmente di rompere gli indugi e mi addentro nella lettura: delusione totale!

L'incipit di "Dove stiamo volando" (il romanzo) è rappresentativo dello stile di scrittura che Curtoni manterrà per tutta l'opera: raccontato in prima persona, con una prosa barocca che abbandona spesso e volentieri la descrizione di ciò che sta avvenendo per divagazioni poetico-oniriche e giudizi morali.

La storia è piuttosto lineare, ma del resto non è il fulcro del romanzo: Charles è un mutante (la cui mutazione verrà rivelata solo a metà storia) che decide di andare a vivere in una comune di mutanti a Nuova Parigi, detta il Ghetto (il cui nome già non invoglia al trasferimento in massa). Purtroppo per lui decide di andare nel posto sbagliato nel momento sbagliatissimo. La storia è ambientata in un'Europa post-Olocausto nucleare, in cui umani e mutanti vivono non proprio in sintonia.

La sensazione che si ha, leggendo il romanzo, è che Curtoni voglia, nell'ordine:

  1. Far vedere quanto è bravo a scrivere frasi ad effetto ("Guarda mamma, senza mani")
  2. Scrivere un libro di fantascienza che sembri un romanzo mainstream, come se si vergognasse di ammetterne il genere
Il risultato finale è un romanzo molto pretenzioso, il cui autore vuole disperatamente essere preso sul serio in quanto scrittore tout-court, non in quanto scrittore di fantascienza. I casi sono due, o si vergogna di appartenere al genere, oppure vuole disperatamente dimostrare che in un romanzo di fantascienza si può calcare la mano sull'aspetto formale, invece di raccontare e basta. Data la professione di amore per il genere che si evince dal saggio, propendo per la seconda ipotesi.

Forse il mio giudizio negativo risente anche di una mancata prospettiva storica: lo scritto è del 1972. In quegli anni la fantascienza era ancora vista, in Italia, come "navicelle spaziali e alieni tentacolari verdi" (non che la visione sia cambiata di molto, ma questa è un'altra storia). Naturale quindi che autori come Curtoni cercassero di allinearsi agli autori anglosassoni e osare di più dal punto di vista stilistico e filosofico. Il risultato però è fin troppo eccessivo: Curtoni sacrifica la narrazione sull'altare della poetica, ma lo fa in maniera vistosa. Per dirla con un'espressione in inglese: "He tries too hard".

Nei sei racconti la situazione migliora dal punto di vista della narrazione. Ho apprezzato molto la scelta, in alcuni racconti, del punto di vista multiplo per raccontare la storia. Anche qui è presente un certo gusto per la prosa barocca e per una narrazione opaca: spesso è faticoso capire cosa sta succedendo esattamente. Ma in questi racconti l'artificio narrativo funziona meglio che nel romanzo (penso soprattutto al racconto "La sindrome lunare"). Belle anche alcune chicche meta-narrative che Curtoni semina qua è là per ricordarci che stiamo leggendo un'opera di fiction e per scherzare sulla natura della parola scritta.

Il grosso limite dei racconti, almeno per me, è che le vicende trattate non sono abbastanza interessanti ("Ritratto del figlio"), o non riescono ad essere raccontate in modo che ci appaiano tali ("L'esplosione del minotauro"). A volte Curtoni si abbandona ad un voluto ermetismo ("La volpe stupita"), mentre in "Vento dal mare" l'elemento soprannaturale ed un pizzico di Horror non riescono a salvare un racconto che è soprattutto un esercizio di racconto realistico.

L'impressione finale di questa antologia è che a Curtoni, la cui occupazione principale era quella di traduttore ed editor, manchi quel quid che hanno i grandi scrittori e che non riesca a colmarla grazie alla sua cultura del genere. Oltre ad un incredibile senso di inferiorità nei confronti della letteratura in senso "lato"

In conclusione, con grande amarezza ho dovuto dare 1 stella su 5.
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