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venerdì 26 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane (Parte 4)

Last but not least (ultimo ma non per questo meno importante...vedete che alcune cose suonano meglio in inglese?) mi sono tenuto per ultima la serie che mi sta attualmente più a cuore.

Scoperta grazie al suggerimento di un amico (e confermata la bontà grazie al sempreverde Serialmente) quest'estate, è stato amore a prima vista.

Sto parlando di...Community!

Community, cast, poster, NBC
Il variegato cast principale di community

Forse il modo migliore per parlare di Community ad un pubblico italiano è spiegare l'ambientazione. Community è ambientato (e da qui il nome) in un Community College.

Che cos'è un Community College? E' un'entità che qui in Italia non esiste, o meglio, è una via di mezzo tra una scuola serale, un'università normale, l'università della terza età e la CEPU. Di solito è un piccolo campus, frequentato per la maggior parte da gente che abita negli immediati dintorni (che negli Stati Uniti può raggiungere dimensioni ragguardevoli ad un occhio italiano). Di solito gli studenti che frequentano i Community College sono in là con gli anni e vogliono tenersi impegnati, oppure non hanno passato l'ammissione ad università più blasonate (i Community College non sono proprio famosi per la loro qualità), o hanno problemi di denaro (i Community College costano molto meno di università private tipo Harvard, e la retta cambia a seconda dei corsi seguiti) o ancora vogliono imparare una nuova professione (i Community College sono incentrati soprattutto su corsi pratici e manuali).

L'incipit della serie vede Jeff (l'uomo con la fronte spaziosa che vedete in primo piano a sinistra), avvocato di discreto successo a cui hanno revocato la licenza, perchè nonostante abbia passato i test per entrare nella scuola di Giurisprudenza aveva falsificato il suo titolo di studio (in America prima di entrare a Giurisprudenza bisogna aver preso l'equivalente di una laurea triennale da noi), tornare a frequentare l'università per prendere una laurea il più presto possibile. Siccome i Community College sono famosi per essere facili decide di frequentare il Greendale Community College, sperando di finire il più presto possibile.

Una volta al college incontrerà Britta (la bionda in primo piano a destra), che tenterà subito di broccolare subdolamente creando un fittizio gruppo di studio del corso di spagnolo. Sfortunatamente per Jeff e fortunatamente per noi il gruppo di studio diventerà il centro nevralgico della serie.

Nella prima stagione i ruoli sembrano fissi e piuttosto stereotipati, anche se con una novità: Jeff è il tipico spaccone affascinante, all'apparenza cinico ma con un cuore d'oro; Britta, bionda liberal e un po' acida; Shirley, donna di colore con un matrimonio fallito alle spalle e timorata di Dio; Pierce, baby-boomer altolocato, coacervo di razzismo/sessismo/politically uncorrect; Troy, ex quarterback-star del liceo che si è ritrovato al Greendale dopo aver perso la borsa di studio per meriti sportivi e Annie, iper-competitiva e ansiogena diciannovenne che ha perso la possibilità di essere ammessa a Università più prestigiose dopo aver sviluppato una dipendenza da farmaci psicostimolanti ed essere finita in riabilitazione.

Chiude il gruppo Abed, la vera novità: Abed è metà musulmano e metà polacco, leggermente autistico e/o con la sindrome di Asperger, grande appassionato di cultura pop e serie TV. Ed è proprio questa passione che rende Abed un meta-personaggio: Abed ci ricorda constantemente che stiamo guardando una serie TV, che certe dimaniche della puntata sono un clichè delle comedy, che l'episodio che stiamo guardando è un Bottle Episode.

Community infatti è una comedy che scardina i clichè delle commedie americane e cerca di reinventarli: i riferimenti alla cultura pop sono numerosi (a volte coinvolgono l'intero episodio, come quello ricalcato sulla serie Law and Order), ma non sono fini a sè stessi. Il risultato è forse un po' cervellotico, ma per chi ha un po' di esperienza di serie TV molto godibile.

E' anche una serie coraggiosa: nella terza stagione un intero episodio è ambientato in un videogioco. Non solo, un videogioco 8-bit! (Per intenderci, quelli di vecchia generazione)

community cast, 8-bit, awesome
Nostalgia 8-bit canaglia!
E Community non è una web-serie, o una serie su un canale via cavo, ma va in onda sulla NBC, uno dei quattro grandi network della televisione americana! In effetti, la natura sperimentale e un po' "per addetti ai lavori" della serie è stata penalizzante in termini di ascolti: Community non è mai stata una serie molto seguita dal grande pubblico americano, forse anche perchè buona parte del target a cui si rivolge la serie la tv neanche la guarda, ma preferisce guardarsi la puntata su internet.

Questo ha portato la serie ad essere sempre sull'orlo della cancellazione. La terza stagione infatti è stata trasmessa in due parti, con una lunga pausa in cui non si capiva se sarebbe stata rinnovata o no. Alla fine la serie è stata rinnovata per una quarta stagione, ma il creatore della serie, Dan Harmon, è stato cacciato.

Il primo episodio della quarta stagione doveva andare in onda il 19 ottobre, ma purtroppo i capoccioni della NBC hanno deciso di rimandare l'inizio della serie a data da destinarsi. Ma questo non ha impedito a quel gruppo di mattacchioni del cast di mettere su Youtube questo video


Dura poco meno di due minuti e dà più o meno l'idea di cosa potete aspettarvi

Il mio consiglio è quello di recuperarlo con tutti i mezzi che potete (in Italia è trasmesso su Comedy Central, ma visto che sono snob e lo seguo in originale con i sottotitoli non ho idea di come sia il doppiaggio).

Vi ricordo le altre presentazioni dedicate alle serie TV (Parte 1, The Big Bang Theory; Parte 2, New Girl; Parte 3, Modern Family

giovedì 25 ottobre 2012

Citate i traduttori!

Oggi sono finito sul blog di Silvia Pareschi, traduttrice di molti autori americani (tra cui DeLillo, Franzen, McCarthy), di cui sicuramente ho letto delle traduzioni (il nome non mi era nuovo).

Mi è caduto l'occhio su questo bannerino

Silvia Pareschi, blog, traduttori, recensioni

E mi sono sentito un po' una merda. Questo sarà anche un blog frequentato da qualche decina di persone, ma nelle mie recensioni non ho mai citato il traduttore. In questi giorni aggiornerò quindi tutti i post per citare i traduttori. E se anche voi avete un blog di recensioni o ne leggete uno e non vedete comparire il nome del traduttore, chiedete che venga messo!

martedì 23 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane! (Parte 3)

Dopo la Parte 1, dedicata a The Big Bang Theory, e la Parte 2 , dedicata a New Girl, oggi è il momento di parlare di...

modern family, season 4, phil dunphy, awesome
Non sentite già di amare l'uomo sdraiato in basso?


Ovvero la pluri-premiata comedy del momento! Modern Family nelle sue tre stagioni (la quattro è quella che è partita quest'anno) ha già raccolto tutto quello che c'era da vincere, tanto che wikipedia ha una pagina apposita che elenca tutti gli awards della serie. Citerò quindi solo i più importanti: tre emmy awards (gli oscar della televisione) come miglior serie comedy dell'anno, cinque emmy per il miglior attore non protagonista, un golden globe come migliore serie dell'anno. Insomma, Modern Family è la comedy di maggior successo dai tempi di Friends. Ed è creata da Doc di Ritorno al futuro!

Cristopher Lloyd, Doc, Back to the future, Ritorno al futuro
Da inventore di una macchina del tempo a produttore di successo
 Come suggerisce il nome, Modern Family ruota attorno ad una famiglia americana non propriamente tradizionale. O meglio, parliamo di tre nuclei famigliari strettamente imparentati: i Pritchett, i Tucker/Pritchett e i Dunphy. 

Modern family, tree, genealogy
La famiglia moderna in tutto il suo splendore
 
Jay Pritchett, burbero e pragmatico, è il capostipite della famiglia ed è reduce dalla fine del matrimonio con la fricchettona Dede, con la quale ha avuto due figli, Claire e Mitchell. Si è risposato con Gloria Delgado, avvenente quanto simpaticissima colombiana che ha avuto Manny da un precedente matrimonio. Manny è un quarantenne intrappolato nel corpo di un bambino tredici anni.

Claire, casalinga severa e con una tendenza a mania di controllo è sposata con Phil Dunphy, il tipico padre che vuol fare l'amicone e si sforza troppo, e costituiscono la tipica famiglia media americana con 2.5 figli arrotondati per eccesso: Haley, tanto carina quanto stupida, Alex, intelligente ma un po' petulante e Luke, ragazzino pestifero ma con tanto cuore. Mitchell, nevrotico, ansioso e un po' snob compone il terzo e ultimo nucleo famigliare, quello meno convenzionale, con il compagno Cameron Tucker, il cui unico aggettivo che mi viene in mente per descriverlo a pieno è il termine inglese "Flamboyant". Hanno adottato una bambina vietnamita Lily. E' proprio il momento dell'adozione che dà il via alla serie.

Modern Family è una serie TV girata con lo stile mockumentary, ovvero pur essendo girata con attori professionisti, lo stile di regia e il tipo di inquadratura simulano un documentario. Di frequente infatti gli attori guardano in camera, oppure vengono ripresi mentre rispondono su un divano alle domande ad un ipotetico intervistatore. Questa tendenza, molto forte nella prima stagione, va un po' attenuandosi nelle stagioni successive. Personalmente a me piace molto, ma all'inizio può risultare un po' straniante.

La serie è indirizzata ad un pubblico molto ampio: ma basta confrontarla con una qualunque fiction-commedia italiana (pensate ai Cesaroni) per capire l'abisso di qualità tra le due serie, nonostante il target di riferimento sia lo stesso. Anche Modern Family non rinuncia alla morale alla fine dell'episodio, al tema ricorrente dell'importanza della famiglia (anche se nella variante liberal di tutte le famiglie possibili). I conflitti vengono sempre risolti entro la fine dell'episodio, all'insegna del volemose bbene. Però le gag sono spassose, i personaggi molto riusciti e va dato atto agli scrittori la capacità di gestire molto bene dieci personaggi in maniera corale e organica.

La forza di Modern Family sta nel riuscire a coniugare molto bene la tradizionale comedy sulla famiglia americana con l'innovazione del mockumentary e l'intreccio tra famiglie non propriamente convenzionali. Il resto lo fanno i personaggi azzeccati, anche grazie ad un'ottima scelta di casting.

Per gli amici di Technorati: Z9R8UEHSUWME

lunedì 22 ottobre 2012

Conoscerete la nostra velocità

  • Titolo: Conoscerete la nostra velocità
  • Autore: Dave Eggers
  • Traduttore: G. Strazzeri
  • Casa Editrice: Mondadori
  • Pagine: 389
  • Letto su: Cartaceo 










Approfittando dei remainders di Amazon (a proposito: sono ancora disponibili due copie) mi sono comprato la prima versione italiana rilegata del secondo romanzo di Dave Eggers (che è disponibile anche in economica nella collana Piccola Biblioteca Mondadori).

Se guardate con attenzione la copertina scoprirete perchè: il romanzo inizia già dalla copertina (e che inizio!), e prosegue internamente senza soluzione di continuità (il colophon è presente in terza di copertina); una chicca che non mi potevo perdere.

Dave Eggers è attualmente considerato uno dei giovani scrittori americani più promettenti. Eggers è un personaggio poliedrico: oltre che apprezzato scrittore è anche editore. Ha fondato la casa editrice McSweeney's, che oltre a libri pubblica anche due riviste letterarie, la Timothy McSweeney's Quarterly Concern e il The Believer. Non pago, ha anche fondato una scuola di scrittura per ragazzi, la 826 Valencia, scritto la sceneggiatura di Nel Paese delle Creature Selvagge e libri umoristici sotto pseudonimo.

Insomma, è un tipo che sa il fatto suo, c'era da capirlo già dal titolo del suo primo romanzo (che è anche un po' non-fiction, e che non ho ancora letto): L'opera struggente di un formidabile genio!! (in originale A heartbreaking work of a staggering genius). Uno così o è un pirla, o conosce perfettamente i suoi mezzi.

 Una cosa è sicura: a Eggers piace la forma-libro, e non ha paura di sperimentare. Lo dimostra questo romanzo, che oltre all'originale inizio presenta, inframmezzate alla narrazione, immagini, foto e disegni. L'amore per la sperimentazione si ha ancora di più nella citata rivista Timothy McSweeney's Quarterly Concern: ogni numero è diverso, sia come formato che come tipologia di oggetto. Il massimo credo si sia raggiunto con il numero 36: un cubo con le fattezze di un signore pelato (il Timothy McSweeney del titolo) contenente diversi libri, cartoline, illustrazioni. (vedi immagine)



McSweeney, Dave Eggers, Issue 36
La miglior rivista letteraria di tutti i tempi

Ma torniamo al romanzo: la storia ruota intorno al viaggio di due giovani sempliciotti del Midwest, Will e Hand, che decidono di fare in una settimana il giro del mondo. Già dalla pianificazione del viaggio emergono i primi nodi al pettine: non siamo ai tempi di Phineas Fogg, l'idea romantica di girare intorno al mondo fa a pugni con le politiche delle compagnie aeree, in particolare per quanto riguarda i collegamenti con paesi africani e del Baltico. Durante il loro viaggio, infatti, riusciranno a visitare solo il Senegal, l'Egitto, l'Estonia e la Lettonia.

Motivo del viaggio, la necessità di Will e Hand di elaborare il lutto per la morte del loro amico Jack, ucciso in un assurdo incidente automobilistico. Per ragioni mai completamente rivelate nel corso del romanzo Will si trova ad avere una grossa quantità di denaro e decide di fare il viaggio per donarlo agli abitanti dei paesi che andranno a visitare.

Stop. Tutta la trama del romanzo è contenuta nel paragrafo precedente. Dave Eggers però affronta il tema del viaggio e dell'elaborazione del lutto in modo non scontato: Will e Hand da tipici americani medi hanno un'idea molto approssimata di come approcciarsi ad una cultura differente e scoprono ben presto che il loro peraltro onorevole proposito di donare dei soldi agli autoctoni non è così facile come sembra. Chi scegliere tra le moltitudini di persone, mendicanti e non, che affollano le città del Senegal? E come fare materialmente ?

Nel corso del viaggio Will (l'io narrante per tutto il romanzo) avrà modo di riflettere sulla morte di Jack e sul suo rapporto con l'amico Hand, imparando nel frattempo a interagire con culture profondamente diverse da quella americana.

La scrittura di Eggers è chiara e ironica, ma personalmente ho trovato la trama un  po' priva di mordente. Spesso il viaggio di Will e Hand, seppur spassoso, ha dei cali di tensione in cui sostanzialmente non succede nulla di rilevante. E non bastano le struggenti riflessioni di Will e i flashback che ci dicono cosa è successo a Jack.

Nei romanzi sostanzialmente si possono individuare due poli: quello della forma e quello del contenuto. Eggers è decisamente vicino al primo polo: la sua prosa è molto curata, brillante, come se l'autore volesse dirci "visto quanto sono bravo?". Si ha l'impressione che in certi casi Eggers voglia dimostrare come sia in grado di reggere una parte con la sola forma, senza che avvenga nulla di particolarmente interessante.

In conclusione il tentativo di Eggers è buono, ma pecca un po' di presunzione (ma non tanto come questa recensione).

Due stelle su cinque

lunedì 15 ottobre 2012

Mugging The Muse

Mugging the muse, holly lisle
  • Titolo: Mugging the Muse, writing fiction for love AND money
  • Autore: Holly Lisle
  • Pagine: 238 pagine
  • Lingua: Inglese
  • Editore: Self-published
  • Letto su: Kindle







Oggi parliamo di un manuale di scrittura, che è passato sotto il mio radar grazie al post di Davide Mana su Strategie Evolutive (di cui consiglio caldamente la lettura).

Innanzitutto una premessa: forse potreste chiedervi: manuale di scrittura? Ma la scrittura non ha regole, non si può insegnare. Bè, quasi: la narrativa, in particolare quella di genere, ha certe regole che vanno rispettate non tanto perchè ce lo dicono delle leggi calate dall'alto, ma perchè se no la prosa e la comprensione del racconto risultano ostiche al lettore. Poi nulla vieta che l'autore esperto possa cercare di spezzare le regole per ottenere un effetto particolare o per sperimentare, però per farlo deve prima averle bene in mente. Avete presente il motto "Impara l'arte e poi mettila da parte"? Bè...è così.

Questo manuale (che si può acquistare al costo irrisorio di 82 centesimi su Amazon, in lingua inglese), spiega in maniera asciutta e franca, quasi brutale, cosa vuol dire scrivere per guadagnarsi da vivere. Più che concentrarsi sulla prosa in sè, però, il libro si concentra sulle motivazioni dell'aspirante scrittore: la Lisle, prendendo come spunto la propria esperienza personale, ci racconta che per riuscire a veder pubblicato il proprio manoscritto bisogna spazzare via dalla testa l'idea romantica dello scrittore che scrive sotto ispirazione semi-divina un capolavoro che verrà instantaneamente dato alle stampe con conseguente successo commericale e gloria imperitura.

L'aspirante scrittore deve applicarsi in maniera metodica e scrivere, scrivere, scrivere: secondo la Lisle la scrittura è soprattutto esercizio continuo e organizzazione. Soprattutto se lo si vuol fare per vivere. A conferma di ciò alla fine di ogni capitolo l'autrice propone un esercizio, che consiste nello scrivere un breve testo (150-250 parole), sull'argomento appena trattato.

Oltre ai consigli "motivazionali" e pratici (come si costruisce un personaggio interessante, come si scrive una scena, come si controlla il ritmo del racconto), la Lisle dà anche consigli professionali: come contattare un agente o una casa editrice, come affrontare le proposte di collaborazione. Secondo l'autrice inoltre sempre più necessaria sarà l'opzione del self-publishing, ovvero pubblicare da soli la propria opera a mezzo e-book. 

Dopo aver letto il manuale la voglia di scrivere a propria volta è tanta, nonostante gli avvertimenti della Lisle: diventare scrittori di professione è un percorso irto di difficoltà e frustrazione. Però a mio parere un aspirante scrittore italiano che legge il manuale (la Lisle è americana) deve tenere bene a mente una cosa: la Lisle nel suo manuale si riferisce al mercato dell'editoria anglo-sassone, che sia dal punto di vista linguistico che demografico, è infinitamente più grande di quello italiano.

Nel mondo-anglosassone oltre ai best-selleristi (che guadagnano cifre a sette, otto zeri) esistono anche scrittori, cosiddetti "mid-list", che vendono un numero di copie tali da potersi permettere di vivere solo di scrittura, ma senza guadagnare cifre da capogiro. La Lisle appartiene a quest'ultima categoria, che nel mercato italiano è però praticamente assente: a parte qualche sparuto nome noto (Fabio Volo, Camilleri, Umberto Eco e compagnia cantante), il resto degli autori vende un volume di copie tale da non potersi permettere di scrivere a tempo pieno. Quindi i consigli della Lisle sono preziosi per quanto riguarda l'obiettivo di vedere la propria opera pubblicata, ma forse valgono un po' meno per quanto riguarda l'obiettivo di vivere solo di scrittura. Ma non è colpa della Lisle e non è colpa dell'aspirante scrittore italiano: è colpa del mercato ristretto.

Tre stelle su cinque, consigliato soprattutto a chi ha sempre sognato di scrivere un romanzo. L'enfasi su sognato non è casuale: non basta sognare di scrivere un romanzo, bisogna farlo.

martedì 9 ottobre 2012

Studio Illegale

  • Titolo: Studio Illegale
  • Autore: Duchesne
  • Editore: Marsilio
  • Pagine: 318
  •  Letto su: Kindle



Mi sono imbattuto in questo libre grazie alle ghiottissime offerte giornaliere di Amazon. Per 0,99 euro valeva assolutamente la pena di dare un'opportunità a Duchesne, pseudonimo di Federico Baccomo: devo dire che non sono rimasto deluso. Ho scoperto solo dopo, leggendo le prime pagine, che il libro deriva dall'esperienza di un blog (ora defunto in seguito alla pubblicazione del libro).

E mi si è acceso un campanello d'allarme: avevo già avuto un'esperienza con un libro omonimo di un blog, l'Apprendista Librario. In quel caso il libro mi aveva completamente deluso: ripetitivo e piatto emotivamente e narrativamente parlando (forse un giorno di questi ne scriverò in maniera più approfondita). Partivo con la lettura con più di qualche pregiudizio.

Fin dal primo capitolo però si capisce che Duchesne ha stoffa: la descrizione di una festa popolata da avvocati milanesi e padovani è ironica, assurda al punto giusto e con un tocco di freddezza alla Bret Easton Ellis.
Nei capitoli successivi invece il romanzo si concentra soprattutto sulla vita lavorativa in uno studio milanese di avvocati d'affari, dove lavora il nostro protagonista (il libro è narrato tutto in prima persona): Andrea Campi. 
Andrea è un giovane avvocato (il classico avvocato "di belle speranze"), coscienzioso nel suo lavoro anche se non particolarmente brillante. Non fa una vita facile: spesso deve stare nello studio fino a tarda notte e deve fronteggiare scadenze piuttosto pressanti. Tuttavia Andrea non è mai lagnoso: ha raggiunto una sorta di equilibrio zen nei confronti del suo impiego. Sa che il contratto non verrà mai chiuso in tempo, sa che i suoi suggerimenti non verranno presi in considerazione ma riesce a mantenersi distaccato, a non farsi travolgere dai sacrifici che questo lavoro impone.

Non deve essere stato un compito difficile: per colpa dello studio legale Andrea è solo, non esce quasi mai con gli amici (gli unici che può definire tali sono suoi colleghi allo studio) e la sua ultima relazione importante si è interrotta proprio per colpa del tempo che "esige" il lavoro allo studio. Non che non ci siano soddisfazioni, lavorativamente parlando: durante il romanzo Andrea chiude due contratti, di cui uno particolarmente importante per il suo futuro. Però progressivamente cresce dentro di lui la sensazione di essere solo un ingranaggio in un sistema più complesso, di non avere una vita al di fuori dello studio, e questo vuoto interiore lo porterà a prendere in mano le redini del proprio destino.
Studio Illegale è un libro che scorre molto bene, che funziona: i personaggi sono credibili, la narrazione è ironica e funzionale a descrivere il mondo degli affari, pieno di tecnicismi rigorosamente in inglese e dove la capacità di fare networking (vedete? hanno contagiato anche me, la "rete di conoscenze") spesso conta di più che l'effettiva competenza legale, come dimostra il personaggio di Giovanni, il capo di Andrea, le cui frasi dense di retorica da marketing spicciolo e l'idiozia sono così dolorosamente reali.
Mi sono immedesimato nel personaggio di Andrea: pur lavorando in ambiti all'apparenza molto diversi (studio legale vs. laboratorio di ricerca), ho riconosciuto molti punti in comune. Spesso anche nel mio mondo si ha a che fare con scadenze molto strette e orari lavorativi non convenzionali. Si ha la sensazione di essere in balìa di una forza più grande di te, dove i propri sforzi sembrano ininfluenti a raggiungere l'obbiettivo finale.

Forse  non dipende dai nostri posti di lavoro, forse è diventato così il mercato del lavoro moderno: Studio Illegale è anche la riflessione di una generazione alle prese con un mondo del lavoro bisognoso di cambiamento; è anche la riflessione dei rapporti tra una generazione (la mia) e la generazione precedente (quella dei nostri genitori/capi), generazioni che hanno una visione del mondo molto diversa, sia perchè il mondo è cambiato (e sta cambiando), sia perchè i loro rispettivi obiettivi non sono congruenti, forse addirittura incompatibili. Studio Illegale riesce a descrivere tutto ciò senza cadere nella facile retorica, senza abusare di luoghi comuni.

Quattro stelle su cinque 

sabato 6 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie tv americane! (Parte 2)

Dopo The Big Bang Theory (qui la presentazione) continuamo con... 


New Girl

Who's that girl?

 Quando è stato annunciato questa serie, tutti avrebbero scommesso che si trattasse di un "One Woman Show": gli occhioni blu e l'espressione cucciolosa di Zooey Deschanel in primis e il resto contorno. Invece New Girl ha saputo ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto tra le altre commedie americane, nonostante il calo di ascolti costante per tutta la prima stagione.
 

L'incipit della serie non è niente di particolarmente: una ragazza (Jess) si trasferisce a vivere in un loft con tre ragazzi (Schmidt, Nick e Winston) sconosciuti dopo aver scoperto che il suo ragazzo la tradiva. Ciò che fa la differenza rispetto a altre commedie sono i personaggi: in primis Nick, la cui tensione sessuale con Jess guida buona parte della prima stagione ma non viene mai esplicitata del tutto: gli sceneggiatori rifuggono dall'ovvia scelta di farlo mettere insieme a Jess. La comicità di Nick risiede in buona parte nelle sue scelte di vita assurde e nel suo essere totalmente dipendente dalla ex.

Nick new girl
Non fare così, Nick!


Jess è esattamente come se la immaginano dal vivo i fan di Zooey Deschanel: teneramente goffa, un po' nerd e incline a momenti di assoluta awkwardness.

In seconda battuta abbiamo Schmidt, il cui ruolo è quello dell'adorabile cretino: vagamente metrosessuale, fissato con i prodotti di marca e i rimedi esotici, corre dietro a qualunque cosa che respira (per dirla in termini terra-terra "Un morto di figa"). Ma il modo in cui lo fa e la genuinità con cui crede nelle sue tecniche di abbordaggio lo rendono spassosissimo.

awesome, parkour
PARKOUR!


Per ultimo abbiamo Winston, il cui personaggio resta forse un po' più in ombra rispetto agli altri tre, anche a livello di sceneggiatura: spesso protagonista di sidestory indipendenti dagli altri personaggi e quindi la sua caratterizzazione dipende molto dalla loro qualità, altalenante. L'impressione è che non abbia ancora trovato il suo ruolo nella serie, probabilmente dovuto al fatto che nell'episodio pilota (che spesso viene girato mesi o anni prima degli altri episodi) il quarto coinquilino del loft era un altro personaggio (interpretato da Damon Wayans Jr.) che è stato tolto a causa degli impegni dell'attore e sostituito da Winston.

I primi due episodi della seconda stagione non hanno tradito le attese, confermando che New Girl è una delle commedie più in forma del momento.

Come già fatto per The Big Bang Theory vi consiglio le recensioni di Serialmente

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