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venerdì 2 novembre 2012

1Q84

Murakami Haruki, Libro 1 e 2, 1Q84, Einaudi












 







 
  • Titolo: 1Q84
  • Autore: Murakami Haruki
  • Traduttore: G. Amitrano
  • Editore: Einaudi
  • Pagine: 718 (libro 1 e 2) 395 (libro 3)
  • Letto su: Cartaceo





Murakami Haruki (Murakami è il cognome, in Giappone al contrario che da noi lo si mette sempre per primo) è attualmente lo scrittore giapponese contemporaneo più conosciuto a apprezzato, anche e soprattutto in occidente, Stati Uniti compresi. Da qualche anno è sempre al primo posto tra i papabili per il Nobel per la Letteratura, e come ogni anno non lo vince. Ho l'impressione che dopo il vincitore di quest'anno (il cinese Mo Yan) le possibilità per Murakami si siano assottigliate ancora di più.

1Q84 è l'ultima fatica dello scrittore nato a Kyoto nel 1949: il titolo è un gioco di parole. In giapponese il suono occidentale Q (soprattutto nella sua pronuncia inglese, una specie di "chiu") è lo stesso del numero nove (kyu). Quindi il titolo del romanzo in giapponese (ichi-kyu-hachi-yon), che sia scritto con la Q o con il numero 9 suona allo stesso modo.

Murakami Haruki, 1Q84
Anche io sarei così contento se vivessi alle Hawaii solo della mia scrittura


Il nuovo romanzo di Murakami ha avuto una storia editoriale piuttosto variegata, siete pronti? In Giappone è uscito in tre volumi separati, MA i primi due volmi sono usciti insieme, mentre il terzo è uscito circa un anno dopo. Le edizioni estere si sono diversificate: negli Stati Uniti il libro è uscito in un unico volumone (con una copertina bellissima), in Francia è uscito in due volumi, uno contenente il libro 1 e 2 e il terzo libro da solo, ma in entrambi i paesi i tomi sono stati tradotti da due persone in modo da farli uscire quasi in contemporanea. In Italia, Einaudi ha deciso per una via intermedia: due volumi (1 e 2 insieme e 3 da solo), ma tradotti dalla stessa persona, Giorgio Amitrano, e pubblicati a distanza di un anno, in modo da dare tempo al traduttore di finire il volume 3 e in modo da simulare l'edizione giapponese mettendo un anno tra i primi due volumi e il terzo.

Il modo migliore per descrivere Murakami mi è venuto qualche tempo fa su twitter.


Più ci penso e più mi sembra una definizione calzante: pur lavorando su medium diversi, i due autori si assomigliano molto per stile. In entrambi l'azione è estremamente lenta, quasi sonnecchiosa, per poi avere delle improvvise accelerazioni. Questo ritmo sincopato è funzionale alla costruzione di uno stato di ansia che piano piano pervade il lettore/spettatore: sia Lynch che Murakami sono bravissimi a costruire uno stato di angoscia senza mostrare (quasi) nulla. In entrambi abbiamo situazioni apparentemente realistiche dove però si capisce subito che c'è qualcosa che non quadra e questa sgradevole sensazione viene gradualmente confermata fino a sfociare esplicitamente nell'onirico (unica eccezione per Murakami è il romanzo Norwegian Wood, scritto volutamente in maniera strettamente realistica). Entrambi gli autori spesso indugiano nella riflessione meta-narrativa: si veda come esempio la serie TV di Mulholland Drive o il film di Inland Empire per Lynch, per Murakami proprio 1Q84, in cui abbiamo un romanzo in grado di cambiare (letteralmente e metaforicamente) il mondo.

In questo libro Murakami non abbandona il proprio stile, ma dilata le parti apparentemente tranquille: forse proprio per questo quando arriva il soprannaturale (in questo caso i Little People) l'angoscia e la tensione è alle stelle. Il romanzo è narrato da due punti di vista diversi, Tengo, il protagonista maschile e Aomame, il protagonista femmminile (con il terzo volume si aggiungerà un terzo punto di vista). All'inizio apparentemente i due personaggi conducono due vite diametralmente opposte e parallele, che si intrecceranno lungo le molte (forse troppe) pagine del romanzo. I capitoli dedicati ai due protagonisti si alternano, e questo dà la possibilità a Murakami di costruire ulteriormente la tensione troncando la narrazione proprio sul più bello e passando all'altro personaggio, di solito in una situazione tranquilla.

A circa tre quarti del primo volume (che include i libri 1 e 2 dell'edizione giapponese) si raggiunge il climax della vicenda e si arriva ad una conclusione che per gli standard di Murakami e se non sapessimo dell'esistenza di un ulteriore volume sarebbe anche soddisfacente.

Poi abbiamo il terzo volume... il più grande anti-climax che io abbia mai letto nella mia (giovane ma intensa) carriera di lettore. Intendiamoci, c'è un motivo a livello di trama per cui nelle prime 350 pagine del terzo libro non succede NULLA, ma ciononostante è veramente difficile immaginare perchè Murakami abbia voluto tediarci così tanto. Io poi ho aspettato che uscisse il terzo volume per leggere il romanzo tutto d'un fiato, ma voi immaginate chi ha aspettato per un anno! La sensazione è che questa dilatazione della narrazione, la rarefazione degli eventi sia voluta dall'autore. Lo stacco con i primi due volumi è molto netto: mentre nei primi due Murakami usa i dettagli e la ridondanza degli stessi per costruire tensione, nel terzo fa di tutto per distruggere la tensione narrativa, spiegandoci tutto quello che succede, da tre punti di vista per giunta!

La narrazione in 1Q84 mi ha ricordato un puzzle 3d, di quelli in cui si impilano dei fogli di cartone sagomati. Strato dopo strato, apparentemente in maniera caotica, Murakami costruisce una visione d'insieme di una certa potenza.

Jar Jar Binks, 3d sculpture
La narrazione in 1Q84
Nel terzo libro sembra che Murakami abbia fatto di tutto per NON costruire il puzzle. Che sia una scelta voluta o no io non l'ho trovata convincente. Credo però che la mia delusione per il terzo volume sia soprattutto dovuta al fatto che Murakami si concentri soprattutto sull'aspetto psicologico-relazionale dei personaggi e abbandoni un po' l'aspetto soprannaturale e soprattutto i Little People, in grado di suscitare in me una quantità d'ansia che non provavo dai tempi di Bob, di Twin Peaks (ancora Lynch!)

In conclusione, ai libri 1 e 2 dò quattro stelle su cinque. Al terzo libro due stelle su cinque.

lunedì 29 ottobre 2012

Un Polpo alla gola

Un polpo alla gola, Zerocalcare, Bao Publishing
  • Titolo: Un polpo alla gola
  • Autore: Zerocalcare
  • Editore: Bao Publishing
  • Pagine: 192
  • Letto su: Cartaceo 






Ho conosciuto Zerocalcare (nome d'arte di Michele Rech) grazie ad una botta di sfiga: la rivista di fumetti Canemucco. Edita da Coniglio Editore, la rivista era il parto geniale della mente di Makkox, talentuoso fumettista italiano che si era già fatto una discreta fama su internet.


 Inizialmente programmata come testata mensile, distribuita in fumetteria e in edicola (quindi con una tiratura piuttosto cospicua), Canemucco ha visto vedere la luce, dopo svariati ritardi e lo spostamento della distribuzione solo in fumetteria, per 4 dei 6 numeri programmati.
Canemucco, makkox, zerocalcare
Il quarto e ultimo numero di Canemucco


 Il motivo? le scarse vendite, purtroppo. Peccato, perchè era un progetto interessante: oltre alla serie principale di Makkox, la rivista dava spazio anche ad altri giovani fumettisti. Ed uno di quelli era proprio Zerocalcare: protagonisti delle sue storie il suo alter-ego, accompagnato da un simpatico armadillo che fungeva da spalla/voce della coscienza. Un rapporto che ricordava molto due Calvin & Hobbes cresciuti.

Per nostra fortuna, nonostante il fallimento del progetto, Marco Dambrosio, (l'uomo che sta dietro al fumettista Makkox) decise di dare fiducia a Zerocalcare e di produrre per conto proprio il suo primo volume a fumetti: nacque così "La profezia dell'armadillo". Inoltre, Zerocalcare decise di aprire un blog in cui a scadenza regolare venivano pubblicate delle strisce complete, la cui qualità era uguale se non superiore a quella che si poteva apprezzare sul Canemucco.

profezia dell'armadillo, Zerocalcare, Makkox
Il volume prodotto da Makkox
 Nel volume erano presenti storie già pubblicate sul canemucco e sul blog ma unite tra loro da un filo conduttore, segno che Zerocalcare le aveva ideate come un unico blocco di storie. Inizialmente prodotto in poche copie, il fumetto ebbe un successo notevole grazie al tam tam su internet, tanto da costringere Makkox a stamparne altre copie. Ma evidentemente l'autoproduzione non era abbastanza perchè una giovane casa editrice, la Bao Publishing, decise di farne una nuova edizione a colori (La profezia dell'armadillo - colore 8-bit). E decisero di pubblicare anche il successivo lavoro di Zerocalcare, Un Polpo alla gola.

In questo secondo lavoro "completo", Zerocalcare non abbandona lo stile che lo ha reso famoso con le storie dell'armadillo: autoreferenzialità a go-go e citazioni pop pescate a piene mani dall'immaginario comune dei giovani cresciuti negli anni '80-inizio anni '90 (la generazione che è stata recentemente definita in un saggio "La generazione Bim-Bum-Bam"), che oggi si trovano ad affrontare una fase della vita in bilico tra la fine della giovinezza e l'inizio dell'età adulta (Zerocalcare la chiama "l'adolescenza lunga"). Fase che è sempre più lunga, complice una serie di fattori esterni, in primis l'incertezza lavorativa. L'alter ego di Zerocalcare interagisce con diversi personaggi della cultura popolare (Ken-shiro, i cavalieri dello zodiaco, Darth Vader), a metà tra un soliloquio con la propria coscienza a là John Dorian di Scrubs e un dialogo immaginario. In "Un polpo alla gola" però c'è anche molto di più (e un armadillo in meno): la storia è divisa in tre segmenti narrativi, durante le quali osserviamo la crescita di Zerocalcare, dall'infanzia, all'adolescenza alla fase adolescenziale/adulta attuale. Possiamo quindi dire che rispetto all'universo delineato da Zerocalcare nelle sue storie, "Un polpo alla gola" funge da prequel, nel quale ci viene narrato come l'alter-ego fumettistico di Zerocalcare è diventato come lo conosciamo. E non abbiamo solo una storia di formazione personale raccontata con ironia: abbiamo anche una sottotrama drammatica, proprio come nella Profezia dell'armadillo. Zerocalcare non usa le citazioni popolari fini a sè stesse, ma le sfrutta a fini narrativi: a mio parere riesce a descrivere lo zeitgeist della propria generazione (che è poi anche la mia) in maniera perfetta.

Per me, che sono nato del 1986, l'immedesimazione con le vicende raccontate da Zerocalcare è infatti quasi completa: le vicende scolastiche, il rapporto con i compagni di classe e soprattutto con quegli oggetti misteriosi che erano (già allora) le compagne di classe, i feticci (come il supremo Gambeboy). Il lato negativo dello stile di Zerocalcare è giocoforza che per lettori più anziani (e in futuro più giovani) è più difficile riuscire a cogliere tutti i riferimenti presenti nelle tavole di Michele Rech: potrebbero non essere coinvolti come chi le vicende narrate le ha davvero vissute. 

Ciononostante consiglio a tutti di recuperare entrambi i volumi e seguire Zerocalcare su internet: per chi è arrivato prima è un occasione per cercare di capire i propri figli/nipoti, per chi arriverà dopo sarà un occasione per comprendere i propri padri.

Quattro su stelle su cinque, non gli dò il massimo perchè voglio sperare che Zerocalcare abbia in serbo ancora molto.  

venerdì 26 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane (Parte 4)

Last but not least (ultimo ma non per questo meno importante...vedete che alcune cose suonano meglio in inglese?) mi sono tenuto per ultima la serie che mi sta attualmente più a cuore.

Scoperta grazie al suggerimento di un amico (e confermata la bontà grazie al sempreverde Serialmente) quest'estate, è stato amore a prima vista.

Sto parlando di...Community!

Community, cast, poster, NBC
Il variegato cast principale di community

Forse il modo migliore per parlare di Community ad un pubblico italiano è spiegare l'ambientazione. Community è ambientato (e da qui il nome) in un Community College.

Che cos'è un Community College? E' un'entità che qui in Italia non esiste, o meglio, è una via di mezzo tra una scuola serale, un'università normale, l'università della terza età e la CEPU. Di solito è un piccolo campus, frequentato per la maggior parte da gente che abita negli immediati dintorni (che negli Stati Uniti può raggiungere dimensioni ragguardevoli ad un occhio italiano). Di solito gli studenti che frequentano i Community College sono in là con gli anni e vogliono tenersi impegnati, oppure non hanno passato l'ammissione ad università più blasonate (i Community College non sono proprio famosi per la loro qualità), o hanno problemi di denaro (i Community College costano molto meno di università private tipo Harvard, e la retta cambia a seconda dei corsi seguiti) o ancora vogliono imparare una nuova professione (i Community College sono incentrati soprattutto su corsi pratici e manuali).

L'incipit della serie vede Jeff (l'uomo con la fronte spaziosa che vedete in primo piano a sinistra), avvocato di discreto successo a cui hanno revocato la licenza, perchè nonostante abbia passato i test per entrare nella scuola di Giurisprudenza aveva falsificato il suo titolo di studio (in America prima di entrare a Giurisprudenza bisogna aver preso l'equivalente di una laurea triennale da noi), tornare a frequentare l'università per prendere una laurea il più presto possibile. Siccome i Community College sono famosi per essere facili decide di frequentare il Greendale Community College, sperando di finire il più presto possibile.

Una volta al college incontrerà Britta (la bionda in primo piano a destra), che tenterà subito di broccolare subdolamente creando un fittizio gruppo di studio del corso di spagnolo. Sfortunatamente per Jeff e fortunatamente per noi il gruppo di studio diventerà il centro nevralgico della serie.

Nella prima stagione i ruoli sembrano fissi e piuttosto stereotipati, anche se con una novità: Jeff è il tipico spaccone affascinante, all'apparenza cinico ma con un cuore d'oro; Britta, bionda liberal e un po' acida; Shirley, donna di colore con un matrimonio fallito alle spalle e timorata di Dio; Pierce, baby-boomer altolocato, coacervo di razzismo/sessismo/politically uncorrect; Troy, ex quarterback-star del liceo che si è ritrovato al Greendale dopo aver perso la borsa di studio per meriti sportivi e Annie, iper-competitiva e ansiogena diciannovenne che ha perso la possibilità di essere ammessa a Università più prestigiose dopo aver sviluppato una dipendenza da farmaci psicostimolanti ed essere finita in riabilitazione.

Chiude il gruppo Abed, la vera novità: Abed è metà musulmano e metà polacco, leggermente autistico e/o con la sindrome di Asperger, grande appassionato di cultura pop e serie TV. Ed è proprio questa passione che rende Abed un meta-personaggio: Abed ci ricorda constantemente che stiamo guardando una serie TV, che certe dimaniche della puntata sono un clichè delle comedy, che l'episodio che stiamo guardando è un Bottle Episode.

Community infatti è una comedy che scardina i clichè delle commedie americane e cerca di reinventarli: i riferimenti alla cultura pop sono numerosi (a volte coinvolgono l'intero episodio, come quello ricalcato sulla serie Law and Order), ma non sono fini a sè stessi. Il risultato è forse un po' cervellotico, ma per chi ha un po' di esperienza di serie TV molto godibile.

E' anche una serie coraggiosa: nella terza stagione un intero episodio è ambientato in un videogioco. Non solo, un videogioco 8-bit! (Per intenderci, quelli di vecchia generazione)

community cast, 8-bit, awesome
Nostalgia 8-bit canaglia!
E Community non è una web-serie, o una serie su un canale via cavo, ma va in onda sulla NBC, uno dei quattro grandi network della televisione americana! In effetti, la natura sperimentale e un po' "per addetti ai lavori" della serie è stata penalizzante in termini di ascolti: Community non è mai stata una serie molto seguita dal grande pubblico americano, forse anche perchè buona parte del target a cui si rivolge la serie la tv neanche la guarda, ma preferisce guardarsi la puntata su internet.

Questo ha portato la serie ad essere sempre sull'orlo della cancellazione. La terza stagione infatti è stata trasmessa in due parti, con una lunga pausa in cui non si capiva se sarebbe stata rinnovata o no. Alla fine la serie è stata rinnovata per una quarta stagione, ma il creatore della serie, Dan Harmon, è stato cacciato.

Il primo episodio della quarta stagione doveva andare in onda il 19 ottobre, ma purtroppo i capoccioni della NBC hanno deciso di rimandare l'inizio della serie a data da destinarsi. Ma questo non ha impedito a quel gruppo di mattacchioni del cast di mettere su Youtube questo video


Dura poco meno di due minuti e dà più o meno l'idea di cosa potete aspettarvi

Il mio consiglio è quello di recuperarlo con tutti i mezzi che potete (in Italia è trasmesso su Comedy Central, ma visto che sono snob e lo seguo in originale con i sottotitoli non ho idea di come sia il doppiaggio).

Vi ricordo le altre presentazioni dedicate alle serie TV (Parte 1, The Big Bang Theory; Parte 2, New Girl; Parte 3, Modern Family

giovedì 25 ottobre 2012

Citate i traduttori!

Oggi sono finito sul blog di Silvia Pareschi, traduttrice di molti autori americani (tra cui DeLillo, Franzen, McCarthy), di cui sicuramente ho letto delle traduzioni (il nome non mi era nuovo).

Mi è caduto l'occhio su questo bannerino

Silvia Pareschi, blog, traduttori, recensioni

E mi sono sentito un po' una merda. Questo sarà anche un blog frequentato da qualche decina di persone, ma nelle mie recensioni non ho mai citato il traduttore. In questi giorni aggiornerò quindi tutti i post per citare i traduttori. E se anche voi avete un blog di recensioni o ne leggete uno e non vedete comparire il nome del traduttore, chiedete che venga messo!

martedì 23 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane! (Parte 3)

Dopo la Parte 1, dedicata a The Big Bang Theory, e la Parte 2 , dedicata a New Girl, oggi è il momento di parlare di...

modern family, season 4, phil dunphy, awesome
Non sentite già di amare l'uomo sdraiato in basso?


Ovvero la pluri-premiata comedy del momento! Modern Family nelle sue tre stagioni (la quattro è quella che è partita quest'anno) ha già raccolto tutto quello che c'era da vincere, tanto che wikipedia ha una pagina apposita che elenca tutti gli awards della serie. Citerò quindi solo i più importanti: tre emmy awards (gli oscar della televisione) come miglior serie comedy dell'anno, cinque emmy per il miglior attore non protagonista, un golden globe come migliore serie dell'anno. Insomma, Modern Family è la comedy di maggior successo dai tempi di Friends. Ed è creata da Doc di Ritorno al futuro!

Cristopher Lloyd, Doc, Back to the future, Ritorno al futuro
Da inventore di una macchina del tempo a produttore di successo
 Come suggerisce il nome, Modern Family ruota attorno ad una famiglia americana non propriamente tradizionale. O meglio, parliamo di tre nuclei famigliari strettamente imparentati: i Pritchett, i Tucker/Pritchett e i Dunphy. 

Modern family, tree, genealogy
La famiglia moderna in tutto il suo splendore
 
Jay Pritchett, burbero e pragmatico, è il capostipite della famiglia ed è reduce dalla fine del matrimonio con la fricchettona Dede, con la quale ha avuto due figli, Claire e Mitchell. Si è risposato con Gloria Delgado, avvenente quanto simpaticissima colombiana che ha avuto Manny da un precedente matrimonio. Manny è un quarantenne intrappolato nel corpo di un bambino tredici anni.

Claire, casalinga severa e con una tendenza a mania di controllo è sposata con Phil Dunphy, il tipico padre che vuol fare l'amicone e si sforza troppo, e costituiscono la tipica famiglia media americana con 2.5 figli arrotondati per eccesso: Haley, tanto carina quanto stupida, Alex, intelligente ma un po' petulante e Luke, ragazzino pestifero ma con tanto cuore. Mitchell, nevrotico, ansioso e un po' snob compone il terzo e ultimo nucleo famigliare, quello meno convenzionale, con il compagno Cameron Tucker, il cui unico aggettivo che mi viene in mente per descriverlo a pieno è il termine inglese "Flamboyant". Hanno adottato una bambina vietnamita Lily. E' proprio il momento dell'adozione che dà il via alla serie.

Modern Family è una serie TV girata con lo stile mockumentary, ovvero pur essendo girata con attori professionisti, lo stile di regia e il tipo di inquadratura simulano un documentario. Di frequente infatti gli attori guardano in camera, oppure vengono ripresi mentre rispondono su un divano alle domande ad un ipotetico intervistatore. Questa tendenza, molto forte nella prima stagione, va un po' attenuandosi nelle stagioni successive. Personalmente a me piace molto, ma all'inizio può risultare un po' straniante.

La serie è indirizzata ad un pubblico molto ampio: ma basta confrontarla con una qualunque fiction-commedia italiana (pensate ai Cesaroni) per capire l'abisso di qualità tra le due serie, nonostante il target di riferimento sia lo stesso. Anche Modern Family non rinuncia alla morale alla fine dell'episodio, al tema ricorrente dell'importanza della famiglia (anche se nella variante liberal di tutte le famiglie possibili). I conflitti vengono sempre risolti entro la fine dell'episodio, all'insegna del volemose bbene. Però le gag sono spassose, i personaggi molto riusciti e va dato atto agli scrittori la capacità di gestire molto bene dieci personaggi in maniera corale e organica.

La forza di Modern Family sta nel riuscire a coniugare molto bene la tradizionale comedy sulla famiglia americana con l'innovazione del mockumentary e l'intreccio tra famiglie non propriamente convenzionali. Il resto lo fanno i personaggi azzeccati, anche grazie ad un'ottima scelta di casting.

Per gli amici di Technorati: Z9R8UEHSUWME

lunedì 22 ottobre 2012

Conoscerete la nostra velocità

  • Titolo: Conoscerete la nostra velocità
  • Autore: Dave Eggers
  • Traduttore: G. Strazzeri
  • Casa Editrice: Mondadori
  • Pagine: 389
  • Letto su: Cartaceo 










Approfittando dei remainders di Amazon (a proposito: sono ancora disponibili due copie) mi sono comprato la prima versione italiana rilegata del secondo romanzo di Dave Eggers (che è disponibile anche in economica nella collana Piccola Biblioteca Mondadori).

Se guardate con attenzione la copertina scoprirete perchè: il romanzo inizia già dalla copertina (e che inizio!), e prosegue internamente senza soluzione di continuità (il colophon è presente in terza di copertina); una chicca che non mi potevo perdere.

Dave Eggers è attualmente considerato uno dei giovani scrittori americani più promettenti. Eggers è un personaggio poliedrico: oltre che apprezzato scrittore è anche editore. Ha fondato la casa editrice McSweeney's, che oltre a libri pubblica anche due riviste letterarie, la Timothy McSweeney's Quarterly Concern e il The Believer. Non pago, ha anche fondato una scuola di scrittura per ragazzi, la 826 Valencia, scritto la sceneggiatura di Nel Paese delle Creature Selvagge e libri umoristici sotto pseudonimo.

Insomma, è un tipo che sa il fatto suo, c'era da capirlo già dal titolo del suo primo romanzo (che è anche un po' non-fiction, e che non ho ancora letto): L'opera struggente di un formidabile genio!! (in originale A heartbreaking work of a staggering genius). Uno così o è un pirla, o conosce perfettamente i suoi mezzi.

 Una cosa è sicura: a Eggers piace la forma-libro, e non ha paura di sperimentare. Lo dimostra questo romanzo, che oltre all'originale inizio presenta, inframmezzate alla narrazione, immagini, foto e disegni. L'amore per la sperimentazione si ha ancora di più nella citata rivista Timothy McSweeney's Quarterly Concern: ogni numero è diverso, sia come formato che come tipologia di oggetto. Il massimo credo si sia raggiunto con il numero 36: un cubo con le fattezze di un signore pelato (il Timothy McSweeney del titolo) contenente diversi libri, cartoline, illustrazioni. (vedi immagine)



McSweeney, Dave Eggers, Issue 36
La miglior rivista letteraria di tutti i tempi

Ma torniamo al romanzo: la storia ruota intorno al viaggio di due giovani sempliciotti del Midwest, Will e Hand, che decidono di fare in una settimana il giro del mondo. Già dalla pianificazione del viaggio emergono i primi nodi al pettine: non siamo ai tempi di Phineas Fogg, l'idea romantica di girare intorno al mondo fa a pugni con le politiche delle compagnie aeree, in particolare per quanto riguarda i collegamenti con paesi africani e del Baltico. Durante il loro viaggio, infatti, riusciranno a visitare solo il Senegal, l'Egitto, l'Estonia e la Lettonia.

Motivo del viaggio, la necessità di Will e Hand di elaborare il lutto per la morte del loro amico Jack, ucciso in un assurdo incidente automobilistico. Per ragioni mai completamente rivelate nel corso del romanzo Will si trova ad avere una grossa quantità di denaro e decide di fare il viaggio per donarlo agli abitanti dei paesi che andranno a visitare.

Stop. Tutta la trama del romanzo è contenuta nel paragrafo precedente. Dave Eggers però affronta il tema del viaggio e dell'elaborazione del lutto in modo non scontato: Will e Hand da tipici americani medi hanno un'idea molto approssimata di come approcciarsi ad una cultura differente e scoprono ben presto che il loro peraltro onorevole proposito di donare dei soldi agli autoctoni non è così facile come sembra. Chi scegliere tra le moltitudini di persone, mendicanti e non, che affollano le città del Senegal? E come fare materialmente ?

Nel corso del viaggio Will (l'io narrante per tutto il romanzo) avrà modo di riflettere sulla morte di Jack e sul suo rapporto con l'amico Hand, imparando nel frattempo a interagire con culture profondamente diverse da quella americana.

La scrittura di Eggers è chiara e ironica, ma personalmente ho trovato la trama un  po' priva di mordente. Spesso il viaggio di Will e Hand, seppur spassoso, ha dei cali di tensione in cui sostanzialmente non succede nulla di rilevante. E non bastano le struggenti riflessioni di Will e i flashback che ci dicono cosa è successo a Jack.

Nei romanzi sostanzialmente si possono individuare due poli: quello della forma e quello del contenuto. Eggers è decisamente vicino al primo polo: la sua prosa è molto curata, brillante, come se l'autore volesse dirci "visto quanto sono bravo?". Si ha l'impressione che in certi casi Eggers voglia dimostrare come sia in grado di reggere una parte con la sola forma, senza che avvenga nulla di particolarmente interessante.

In conclusione il tentativo di Eggers è buono, ma pecca un po' di presunzione (ma non tanto come questa recensione).

Due stelle su cinque

lunedì 15 ottobre 2012

Mugging The Muse

Mugging the muse, holly lisle
  • Titolo: Mugging the Muse, writing fiction for love AND money
  • Autore: Holly Lisle
  • Pagine: 238 pagine
  • Lingua: Inglese
  • Editore: Self-published
  • Letto su: Kindle







Oggi parliamo di un manuale di scrittura, che è passato sotto il mio radar grazie al post di Davide Mana su Strategie Evolutive (di cui consiglio caldamente la lettura).

Innanzitutto una premessa: forse potreste chiedervi: manuale di scrittura? Ma la scrittura non ha regole, non si può insegnare. Bè, quasi: la narrativa, in particolare quella di genere, ha certe regole che vanno rispettate non tanto perchè ce lo dicono delle leggi calate dall'alto, ma perchè se no la prosa e la comprensione del racconto risultano ostiche al lettore. Poi nulla vieta che l'autore esperto possa cercare di spezzare le regole per ottenere un effetto particolare o per sperimentare, però per farlo deve prima averle bene in mente. Avete presente il motto "Impara l'arte e poi mettila da parte"? Bè...è così.

Questo manuale (che si può acquistare al costo irrisorio di 82 centesimi su Amazon, in lingua inglese), spiega in maniera asciutta e franca, quasi brutale, cosa vuol dire scrivere per guadagnarsi da vivere. Più che concentrarsi sulla prosa in sè, però, il libro si concentra sulle motivazioni dell'aspirante scrittore: la Lisle, prendendo come spunto la propria esperienza personale, ci racconta che per riuscire a veder pubblicato il proprio manoscritto bisogna spazzare via dalla testa l'idea romantica dello scrittore che scrive sotto ispirazione semi-divina un capolavoro che verrà instantaneamente dato alle stampe con conseguente successo commericale e gloria imperitura.

L'aspirante scrittore deve applicarsi in maniera metodica e scrivere, scrivere, scrivere: secondo la Lisle la scrittura è soprattutto esercizio continuo e organizzazione. Soprattutto se lo si vuol fare per vivere. A conferma di ciò alla fine di ogni capitolo l'autrice propone un esercizio, che consiste nello scrivere un breve testo (150-250 parole), sull'argomento appena trattato.

Oltre ai consigli "motivazionali" e pratici (come si costruisce un personaggio interessante, come si scrive una scena, come si controlla il ritmo del racconto), la Lisle dà anche consigli professionali: come contattare un agente o una casa editrice, come affrontare le proposte di collaborazione. Secondo l'autrice inoltre sempre più necessaria sarà l'opzione del self-publishing, ovvero pubblicare da soli la propria opera a mezzo e-book. 

Dopo aver letto il manuale la voglia di scrivere a propria volta è tanta, nonostante gli avvertimenti della Lisle: diventare scrittori di professione è un percorso irto di difficoltà e frustrazione. Però a mio parere un aspirante scrittore italiano che legge il manuale (la Lisle è americana) deve tenere bene a mente una cosa: la Lisle nel suo manuale si riferisce al mercato dell'editoria anglo-sassone, che sia dal punto di vista linguistico che demografico, è infinitamente più grande di quello italiano.

Nel mondo-anglosassone oltre ai best-selleristi (che guadagnano cifre a sette, otto zeri) esistono anche scrittori, cosiddetti "mid-list", che vendono un numero di copie tali da potersi permettere di vivere solo di scrittura, ma senza guadagnare cifre da capogiro. La Lisle appartiene a quest'ultima categoria, che nel mercato italiano è però praticamente assente: a parte qualche sparuto nome noto (Fabio Volo, Camilleri, Umberto Eco e compagnia cantante), il resto degli autori vende un volume di copie tale da non potersi permettere di scrivere a tempo pieno. Quindi i consigli della Lisle sono preziosi per quanto riguarda l'obiettivo di vedere la propria opera pubblicata, ma forse valgono un po' meno per quanto riguarda l'obiettivo di vivere solo di scrittura. Ma non è colpa della Lisle e non è colpa dell'aspirante scrittore italiano: è colpa del mercato ristretto.

Tre stelle su cinque, consigliato soprattutto a chi ha sempre sognato di scrivere un romanzo. L'enfasi su sognato non è casuale: non basta sognare di scrivere un romanzo, bisogna farlo.
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